“Noi, come specie, creiamo tanti problemi e ne risolviamo pochi. E quelli che risolviamo sono poco influenti.” È con queste parole che il biologo Stefano Mancuso, scienziato di prestigio mondiale e professore all’Università di Firenze si è espresso al primo incontro del Sapiens Festival 2021 sul tema “Ma una volta il futuro era migliore?” Un incontro a cui Regenerative Papers non poteva mancare. Lanciando il segnale d’allarme per il fatto che stiamo vivendo la sesta estinzione di massa del pianeta, Stefano Mancuso, colui che a coniato il concetto di neurobiologia vegetale, ha allora dimostrato perché e come noi essere umani dovremmo ispirarci alle piante e alla loro intelligenza orientata alla sopravvivenza, lasciando loro un maggiore spazio ed il ruolo di guida, come propone nel suo ultimo libro intitolato La Nazione delle Piante.
Dalla sua comparsa 4.5 miliardi di anni fa, il pianeta Terra ha subito cinque importanti estinzioni di massa, cioè periodi di consistenti cambiamenti climatici e geologici, durante i quali vi è stato un massiccio sovvertimento dell’ecosistema terrestre tale da condurre alla scomparsa di un grande numero di specie viventi per via della distruzione del loro habitat con l’impossibilità di trovarne un altro. La prima di esse è avvenuta 450 milioni di anni fa, tra il periodo Ordoviciano e il periodo Siluriano. L’ultima, tra il periodo Cretaceo e il Paleogene, risale a circa 66 milioni di anni fa. Scenari catastrofici che sembrano ben lontani dalla nostra epoca…
Eppure, con un milione di specie a rischio di estinzione [1] e “un incremento di 6 gradi di più del periodo preindustriale, con delle temperature che nell’estate 2021 sono giunte fino a 52 gradi in Canada e fino a 67 gradi a Bagdad, possiamo temere di essere nel bel mezzo della sesta estinzione di massa” avverte Mancuso. Già nel 2017, 15.364 scienziati dai cinque continenti firmarono una dichiarazione, la World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice [2], che La Nazione delle Piante riprende testualmente: “Abbiamo scatenato un evento di estinzioni di massa, il sesto in circa 540 milioni di anni, in cui molte forme di vita attuali potrebbero essere annientate o sulla via per l’estinzione, entro la fine di questo secolo.” Un segnale di allarme che l’autore conferma con le parole di Rodolfo Dirzo, professore alla Standford University: “I nostri dati indicano che la terra sta vivendo un episodio enorme di declino ed estinzione, che avrà conseguenze negative a cascata sul funzionamento degli ecosistemi e sui servizi vitali necessari a sostenere la civilizzazione.”
“Si è aperta una gara unica che si chiama la sopravvivenza delle specie”.
Quando si posizionano le tracce delle prime forme di vita umana a 300.000 anni fa sulla scala dell’evoluzione, sapendo che mediamente una specie vive 5 milioni di anni, la specie umana dovrebbe avere davanti a sé una storia lunga ancora 4.700 milioni di anni. Purtroppo, dobbiamo guardare la situazione con lucidità, invita a riflettere lo scienziato, perché “si è aperta una gara unica che si chiama la sopravvivenza delle specie”.
Il fenomeno non ha niente a che vedere con la pandemia. La pandemia è solo una delle numerose conseguenze della rivoluzione industriale che ha allontanato noi esseri umani dal futuro della natura, portandoci a confondere “casa nostra” con “roba nostra”. In fatti, chi si preoccupa per le sorti del pianeta avrà già sentito parlare del Earth Overshoot Day (EOD), ovvero del “Giorno del superamento terrestre”. In poche parole, si tratta del giorno dell’anno in cui l’umanità, avendo consumato interamente le risorse che gli ecosistemi terrestri sono in grado di rigenerare annualmente, comincia a consumare risorse che non saranno più rinnovabili. Nel 1970, questa soglia coincideva con il 31 dicembre. Nel 2021 invece è stata superata il 29 luglio. Ovvio, quando si pensa che, soltanto tra il 2000 e 2010, i consumi domestici del mondo sono aumentati da circa 48 milioni a 71 miliardi di tonnellate, e che abbiamo superato nel 2020 un momento epocale ed irreversibile in cui il peso dei materiali prodotti inerti dell’uomo ha superato il peso di tutto quello che esiste sul pianeta, significa che “sul nostro pianeta, c’è più cemento che alberi, più plastica in peso che animali” come sottolinea Stefano Mancuso.
È proprio nella sua massima espressione animale di superpredatore, “che l’uomo consuma a ritmo crescente risorse non rigenerabili, e con i prodotti di scarto di questa sua insensata attività, inquina aria, suoli e acqua.”
Alla base di questo approccio, vi è una teoria dall’attivista internet Eli Pariser, detta della “bolla di filtraggio”, secondo la quale l’essere umano contemporaneo forma le sue opinioni da informazioni vicine al suo modello culturale o ideologico, isolandosi dall’esposizione ad informazioni lontane dal suo modo di vivere, condizionando così la sua percezione della realtà. Ma l’uomo non è il centro dell’universo: rappresenta solo una tra i tanti milioni di specie che popolano il pianeta e ne formano la comunità dei viventi. Quando illustra il quarto articolo [3] della costituzione della Nazione delle Piante, l’autore evidenzia come “le piante sono raffigurate sempre alla base di quelle tipiche illustrazioni piramidali che troviamo rappresentate dovunque con il nome di piramide alimentare o piramide ecologica o piramide trofica.”
È in questo quadro che si crea una distorsione della realtà. Con i suoi oltre 7 miliardi e mezzo di esemplari, la specie umana che è sempre rappresentata al livello apicale di queste piramidi, conta soltanto per le 0,01% dell’intera biomassa del pianeta, contro un 0,03% degli animali e un 2,2% dei funghi mentre le piante rappresentano più del 85,5% degli esseri viventi del mondo sottolinea il direttore dell’International Laboratory of Plants Neurobiology [4]. Inoltre, prosegue: ogni volta che l’energia viene trasferita da un livello più basso a quello immediatamente superiore della piramide appena un 10/12% di essa è utilizzata per costruire la nuova biomassa, diventando energia immagazzinata mentre il resto si perde nei vari processi metabolici.
Posto che ogni essere vivente ha necessità di ottenere le quantità di energia per sopravvivere e che l’energia solare costituisce la principale fonte energetica della vita sulla terra, Mancuso nota che le piante producono tutto l’ossigeno libero presente sul pianeta e tutta l’energia chimica consumata dagli altri esseri viventi: “La quantità media di energia prodotta dalla fotosintesi livello planetario è di circa 130 terrawatt, ossia sei volte maggiore del consumo attuale di energia della civiltà umana. ” Di più, tramite la fotosintesi, le piante fissano anche l’anidride carbonica nell’atmosfera. Così noi, essere umani, esistiamo grazie alle piante e potremmo continuare ad esistere soltanto in loro compagnia.
Ma dal momento del suo arrivo, 300.000 anni fa, l’uomo è riuscito a cambiare così drasticamente le condizioni del pianeta da renderlo un luogo pericoloso per la sua stessa sopravvivenza. E dalla rivoluzione industriale, con l’uso di combustibili fossili e con la deforestazione, ha aumentato la concentrazione media annua di CO2 nell’atmosfera di 280 parti per milioni (ppm) per raggiungere dei livelli a circa 419 ppm nel 2021, mentre era rimasta stabile per circa 10.000 anni. La quantità emessa nell’atmosfera è diventata così enorme da non poter più interamente essere fissata dalle piante. Un fenomeno già capitato 450 milioni di anni fa: la concentrazione dell’atmosfera terrestre raggiunse allora picchi intorno a 2000/3000 ppm, quindi molto più elevati di quelli correnti. Tuttavia, il pianeta non si è ridotto ad una roccia. Perché? Come spiega Stefano Mancuso, le piante sarebbero state “in grado di ridurne la concentrazione di circa dieci volte, modificando sostanzialmente l’ambiente terrestre e rendendo possibile l’avvento di una diffusa vita animale terrestre. L’enorme quantità di carbonio rimossa in quel periodo dall’atmosfera venne fissata, attraverso la fotosintesi, nel corpo delle piante e degli organismi marittimi fotosintetici e da allora è rimasta sepolta, nelle profondità della crosta terrestre, trasformandosi in carbone e petrolio.” Ecco perché l’uso dei combustibili fossili è così inquinante.
Tornando all’attitudine predatoria dell’uomo, è proprio essa che rivela la mancata comprensione delle regole che governano l’esistenza della comunità dei viventi. 15.000 anni fa, il pianeta ospitava 6.000 miliardi di alberi. Oggi ne esiste solo la metà. Della metà sparita, 2.000 miliardi di alberi sono stati tagliati durante i due ultimi secoli. Nel 1850 l’Europa era un enorme foresta primaria. Oggi non ne rimane più nulla. “Ma quando contempliamo quello che sta succedendo all’ultima foresta primaria in Amazonia, ci indigniamo…” condivide Mancuso che prosegue: “Nessuna tecnologia potrà risolvere il problema. E non possiamo aspettare il 2060. Certamente ridurre le emissioni come si sente dire da tanto è una cosa buona e giusta ma francamente risultati di queste strategie di ultimi anni sono stati impalpabili” osservando che “Non si raggiungono certi numeri senza risolvere problemi” e ribadendo che “le piante sono il motore della vita!”
Però esisterebbe una soluzione incredibile grazie a quello che è stato riconosciuto dal New York Times tra i World Changers nel 2018: Con 1.000 miliardi di alberi in più sul pianeta Terra potremmo rimettere l’ecosistema a posto. Una proposta che sembra così semplice, ma che sappiamo che ha funzionato 10.000 anni fa. Prima sarebbe necessario arrestare ogni ulteriore deforestazione. Il taglio delle foreste non è compatibile con la nostra sopravvivenza. Dalle piante dipende la nostra unica possibilità di sopravvivenza. Soltanto loro sono in grado di riportare la concentrazione di CO2 a livelli inoffensivi nelle nostre città. E se vi è chi dirà che non abbiamo più spazio, Mancuso risponderà che ce n’è in abbondanza!
Sicuro che « il nostro cervello sia un vero vantaggio evolutivo”, Stefano Mancuso si dichiara ottimista perché siamo ad un bivio e dobbiamo capire che il modo di usare il nostro cervello può essere tutt’altro che distruttivo, anche se il tempo è poco. Non può che essere così se vogliamo ancora vedere il mondo in una prospettiva diversa, come lo abbiamo scoperto nella sua bellezza con il primo scatto della Terra dallo spazio il 24 dicembre 1978 e che ha rivelato alla faccia del mondo il suo tricolore blu, verde e bianco delle nuvole come la bandiera della Nazione delle Piante. La risposta tra 4.700 milioni di anni….
Saperne di più:
– [1] https://asvis.it/home/4-9826/biodiversita-un-milione-di-specie-a-rischio-estinzione-modificato-il-75-delle-terre-emerse
– [2] https://academic.oup.com/bioscience/article/67/12/1026/4605229
– [3] Articolo 4: La nazione delle piante rispetta universalmente i diritti dei viventi attuali e di quelli delle prossime generazioni.
– [4] http://www.linv.org